Blog della sezione di Massa Carrara del Partito Comunista dei Lavoratori

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domenica 10 novembre 2019

La Sez. ha sospeso l'attività nel dicembre 2018. Stiamo però cercando un compagno che si occupi della riattivazione del blog. Scriveteci.
P.V.

domenica 29 gennaio 2017

Per una risposta di classe alla crisi in corso. Per una sinistra rivoluzionaria

Dopo la sconfitta del tentativo bonapartista di Renzi, dopo la capitolazione FIOM sul CCNL, sviluppiamo l’intervento politico e sociale del PCL per una primavera di lotta

10 Gennaio 2017
Risoluzione conclusiva del Congresso nazionale del PCL
PCLflag


UNA NUOVA FASE DI INSTABILITÀ, CON IL CRESCENTE RISCHIO DI DERIVE REAZIONARIE

Il referendum del 4 dicembre ha rappresentato uno snodo dell'evoluzione politica italiana.
La crisi del renzismo ha trovato il proprio riflesso nella clamorosa sconfitta del governo. La vittoria del No ha superato ogni previsione (59%), nel quadro di una partecipazione per molti aspetti straordinaria (quasi il 70%). La composizione sociale, generazionale e territoriale del No è stata altrettanto significativa: lavoro dipendente, giovani sotto i quarant'anni, periferie cittadine e metropolitane, Mezzogiorno d'Italia e isole. Sul No si è riversata la sofferenza della maggioranza della società italiana, in tutte le sue principali espressioni, sullo sfondo della grande crisi dell'ultimo decennio. Il No ha dunque travalicato lo stesso sentimento di ostilità verso il governo: ha rappresentato una crisi complessiva di rigetto delle politiche dominanti dettate dalla crisi e dei loro effetti sociali. Al tempo stesso è parziale interpretare questo risultato come una pura espressione sociale. Questo diffuso sentimento antisistema si combina infatti con la tenuta dei blocchi reazionari che si fronteggiano nello scenario italiano: quello leghista (voto veneto), quello berlusconiano (seppur oggi ridotto), quello grillino (periferie urbane). La sovrapposizione della geografia del No con quella elettorale del paese, confermata da tutte le analisi, riflette anche la perdurante influenza del populismo reazionario tra i salariati, i disoccupati e nella giovane generazione. Liberare la pulsione classista del voto dall'involucro populista che le si sovrappone è il compito della politica di classe. A partire dai milioni di No provenienti dal versante dell'opposizione classista e di sinistra su Jobs Act , Buona scuola, politiche ambientali.

La disfatta del renzismo non investe unicamente le prospettive del progetto bonapartista racchiuso dalla controriforma costituzionale.
In primo luogo investe gli equilibri politici di governo. Renzi, ancora a capo del PD, sogna la propria rivincita (primarie ed elezioni anticipate), capitalizzando larga parte del 41% di Sì. Tuttavia questa operazione sconta diverse difficoltà: la diffidenza di parte importante della grande borghesia la resistenza inerziale di vasti settori parlamentari ed istituzionali (a partire dal Presidente della Repubblica); un’immagine pubblica, già sfregiata dal risultato referendario, che viene ulteriormente sfigurata dalla smaccata continuità col governo precedente. Il piano di rivincita coltivato da Renzi, per quanto reale e determinato, è dunque tutt'altro che scontato nel suo esito.
In secondo (ma non secondario) luogo, il crollo di una controriforma che concentrava i poteri nel Governo (nei confronti del parlamento) e nello Stato (nei confronti delle Regioni) è il fallimento di una possibile soluzione della crisi politico-istituzionale borghese. Dunque segna l'apertura di una nuova fase di riorganizzazione. Le dimissioni del governo, la rapida formazione del nuovo esecutivo Gentiloni, segnano solo l'inizio di questo convulso processo. Il quadro tripolare del sistema politico mina le prospettive di stabilità politica e istituzionale: nessuno appare oggi in grado di costruire attorno a sé un blocco maggioritario. La stessa discussione sulla nuova legge elettorale rivela la difficoltà di uno sbocco.

A ciò si aggiungono le incognite sulla tenuta dei diversi poli, attraversati ognuno da evidenti linee di frattura interne. Dissolto il vecchio bipolarismo, sconfitto il progetto bonapartista, il sistema politico non ha un baricentro. Mentre si conferma una irrisolta crisi bancaria (Monte dei Paschi) e l'instabilità degli assetti del capitalismo italiano (acquisizione di Pioneer da parte francese, guerra in Confindustria sul Sole 24 Ore, iniziativa corsara del capitale francese su Mediaset), sullo sfondo di quella immutata crisi dell'Unione Europea cui la sconfitta di Renzi in Italia aggiunge un nuovo tassello, nella prospettiva di una chiusura del Quantitative Easing della BCE e delle sue conseguenze sulla tenuta del debito pubblico italiano e sui suoi livelli di governabilità.

In questo quadro di grande instabilità politica e sociale, emerge un nuovo protagonismo ed una rinnovata forza sociale delle forze reazionarie di massa, sia nelle sue più classiche versioni xenofobe e nazionaliste (la Lega di Salvini e le forze dell’estrema destra), sia nelle nuove forme ibride e confuse del grillismo e del M5S. Forze che colgono il vento di una crescita significativa di queste tendenze in tutto il continente europeo, sospinte dalla perdurante crisi, dal precipitare della competizione fra poli e blocchi commerciali, dal persistente odore di guerra che serpeggia su quasi tutti i confini (Europa orientale, Medio Oriente, Nord Africa), dalla crisi dei profughi, da una sinistra riformista subalterna al quadro capitalista, dalla crisi diffusa del movimento operaio. Forze che oggi colgono anche un possibile ed incipiente cambio di fase nelle politiche internazionali, con la conquista del governo di uno dei principali poli capitalisti: l’amministrazione Trump potrebbe nei prossimi mesi attivare una decisa svolta nella gestione capitalista della crisi, con la definitiva archiviazione dei grandi accordi commerciali (TTIP e TTP), l’apertura di conflitti commerciali (con la Cina e non solo), la ripresa di una spesa pubblica statale per sostenere la domanda interna. Una svolta che potrebbe a sua volta dare nuovi ragioni nella propaganda di massa di queste forze reazionarie, ma soprattutto che potrebbe forgiare nuove alleanze con settori significativi dei grandi capitali, nazionali ed europei, disegnando una loro possibile ascesa al governo anche in Stati chiave del continente europeo (dalla Francia alla stessa Italia).


IL CONTRATTO DEI METALMECCANICI: UN CAMBIO DI FASE NEI RAPPORTI DI FORZA TRA LE CLASSI

Il 26 novembre scorso, pochi giorni prima del referendum, FIM, FIOM e UILM hanno siglato il primo rinnovo unitario del contratto dei metalmeccanici dal 2008. Da mesi era in corso una prova di forza. Il padronato si era posto esplicitamente l’obbiettivo di destrutturare i contratti nazionali, sospinto dalla lunga crisi (dalla necessità di recuperare margini di profitto a partire dai costi) e dall’indebolimento sindacale - della classe nel suo complesso - dopo la sconfitta sul Jobs Act. La FIM di Bentivogli, dopo FCA, condivideva l’obbiettivo di ridefinire il CCNL, andando oltre l’impianto delle confederazioni (CGIL-CISL-UIL chiedevano, all’inizio della stagione dei rinnovi, aumenti nazionali in grado anche di redistribuire la produttività, cedendo invece sull’organizzazione del lavoro): chiedeva però aumenti più diffusi e la definizione di criteri omogenei per gli aumenti sul secondo livello. La FIOM, smantellata la fallimentare “coalizione sociale” ed alla ricerca di una gestione unitaria in CGIL (ingresso di Landini in Segreteria), si predisponeva a siglare in ogni caso un contratto, ma chiedeva delle minime condizioni per giustificare la capitolazione. In questo teatrino, nessuno aveva interesse a far scendere in campo lavoratori e lavoratrici: per mesi la trattativa si è trascinata senza scioperi, assemblee o mobilitazioni di massa. La stessa FIOM non ha quasi mai riunito l’assemblea dei cinquecento ed ha abbandonato la propria piattaforma senza colpo ferire. Con l’autunno l’accordo è arrivato.
Non è solo un pessimo rinnovo. Sicuramente distribuisce pochi soldi in quattro anni (forse una cinquantina di euro, a fronte degli 80-100 degli altri contratti). Soprattutto, però, sfibra l’intero sistema contrattuale, indebolendo i rapporti di forza complessivi della classe: registra semplicemente l’inflazione reale (ex post), non prevedendo nessuna distribuzione della ricchezza; indirizza pesantemente la contrattazione aziendale su parametri variabili (aumentando così la flessibilità salariale); introduce assicurazioni sociali e buoni carrello (tagliando il salario complessivo e contribuendo a smantellare il welfare universale); conferma le flessibilità organizzative previste nel 2012 (a partire dagli straordinari obbligatori). Questa capitolazione, comunque, non è solo responsabilità della FIOM. Per contrastarla sarebbe stata necessaria una comprensione di massa della battaglia in corso, dell’attacco del padronato e delle prospettive di resistenza. Quasi nessuno ha invece lavorato nei mesi scorsi per creare questo clima. Partiti, comitati, associazioni, giornali, radio, siti e social: quasi nessuno nella sinistra ha seguito un contratto che rischia di segnare condizioni e prospettive di milioni e milioni di lavoratori e lavoratrici. È nel contempo tragico e buffo: da anni tutti declamano che per ricostruire una sinistra bisogna partire dal programma, dal lavoro, dalla realtà. I metalmeccanici però sono stati lasciati soli, per non disturbare Landini o per non sporcarsi le mani con il conflitto di classe. I rapporti di forza alla partenza, allora, erano molto chiari: da una parte i gruppi dirigenti e gli apparati sindacali, nel silenzio della stampa, delle piazze e di larga parte della sinistra; dall’altra un’opposizione a questo contratto sostenuto soprattutto dal basso, da delegati e delegate, dall'opposizione CGIL, dai sindacati di base.

Con questo rinnovo si chiude comunque una fase politica sindacale, che ha visto bene o male la FIOM rappresentare una resistenza contro la gestione padronale della crisi, il tentativo di recuperare margini di profitto attraverso una compressione drastica del salario globale (diretto, indiretto e sociale) ed un aumento dello sfruttamento (durata e intensità del lavoro). Nei contratti separati, nella lotta contro Marchionne, nelle mobilitazioni nazionali del 2010 del 2012, nello scontro con Camusso, la FIOM ha rappresentato non solo per i metalmeccanici ma per tutto il mondo del lavoro un punto di tenuta: il simbolo di un interesse generale, quello di classe. Sappiamo, ed abbiamo sempre denunciato, che da tempo la FIOM aveva abbandonato questa battaglia nella sua azione concreta: con la capitolazione a Grugliasco sul modello Marchionne, con la rinuncia a condurre le lotte in FCA, con la repressione interna delle minoranze, con l’abbandono di ogni mobilitazione di massa e la sua semplice rappresentazione mediatica (la “coalizione sociale”). La firma di questo contratto, però, segna la chiusura anche simbolica di una parabola: il gruppo dirigente storico della FIOM abdica per primo alla difesa del contratto nazionale, normalizza la propria azione nel quadro del Testo Unico del 10 gennaio (che due anni fa contestò) e si approssima ad entrare stabilmente nella maggioranza della CGIL. Una CGIL che, concentrata sui referendum e sulla ricerca illusoria di un accordo padronale, non intende comunque sostenere e promuovere nessuna mobilitazione, nessun conflitto sociale nei prossimi mesi.


UN FRONTE UNICO DEL LAVORO, CONTRO RENZISMO E DERIVE POPULISTE

In questo quadro generale di crisi sociale, politica, istituzionale, è necessario battersi per una azione di classe indipendente del movimento operaio, che entri nel varco aperto dalla sconfitta politica del renzismo per costruire uno sbocco e una prospettiva classista. In aperta contrapposizione alle tre destre che dominano lo scenario politico. È necessario cioè rivolgersi a quel diffuso sentimento antisistema che ha sostenuto il No al referendum, all’insieme dei settori popolari colpiti dalla crisi ed al complesso del mondo del lavoro, per far emergere uno sbocco politico alternativo a quello delle destre, dei movimenti populisti e delle forze reazionarie di massa. Trasformare cioè il No a Renzi nel rilancio di una mobilitazione unitaria e di massa che rivendichi la cancellazione di tutte le leggi reazionarie del renzismo, a partire dal Jobs Act e dalla Buona scuola; trasformare la mobilitazione contro le leggi di Renzi nella rottura generale con la stagione trentennale delle politiche antioperaie di austerità e sacrifici: questo è l'asse di iniziativa e proposta del nostro partito nella fase apertasi dopo il 4 dicembre.
Per questo l’iniziativa del PCL, nella propaganda e nell’azione politica, deve essere principalmente e prioritariamente diretta alla costruzione di un fronte unico del lavoro, sul piano politico e su quello sociale. In primo luogo sul terreno concreto e diffuso che può offrire ogni occasione di mobilitazione e di lotta unitaria: in difesa di aziende o settori di lavoro, di diritti sociali e civili, o contro leggi, normative, disposizioni locali e nazionali che possano innescare dinamiche di questo genere. In secondo luogo, sul piano più generale, con un appello ed un’azione pubblica rivolta a tutte le organizzazioni sindacali e di massa che si sono pronunciate formalmente per il No alla riforma costituzionale di Renzi, e che hanno promosso referendum abrogativi delle sue leggi peggiori (Jobs Act), perché passino dalle parole ai fatti. Perché rompano col governo Gentiloni, continuità mascherata del renzismo e delle sue leggi. Perché rompano con Confindustria, massima sostenitrice del Jobs Act. Perché promuovano una svolta di lotta generale, unitaria e di massa, che ponga finalmente al centro dello scontro un'agenda di rivendicazioni operaie capace di configurare una soluzione di classe della crisi sociale e politica. La proposta del fronte unico di classe e di massa deve divenire uno strumento di aperta denuncia dell'immobilismo delle burocrazie, e di relazione con l'avanguardia larga di classe.
I poli reazionari convergono sulla richiesta di elezioni politiche anticipate, nell'intenzione non solo di rafforzarsi nello scontro reciproco, ma anche di evitare il referendum sociale sul Jobs Act. Il loro obiettivo comune è evitare l'irrompere della questione di classe come terreno centrale di confronto. In aperta contrapposizione alle tre destre poniamo l'esigenza esattamente opposta. Non si tratta di attendere il referendum in una logica istituzionale. Si tratta di assumere il tema della cancellazione delle leggi del renzismo come leva e campagna di mobilitazione di massa. Che è anche la via, di riflesso, per vincere un domani sul terreno referendario. Ma soprattutto è la via per segnare una svolta nei rapporti di forza, disgregare i blocchi sociali reazionari, aprire il varco a una prospettiva di classe alternativa. Quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici.


PER UN'INIZIATIVA CLASSISTA E ANTICAPITALISTA NELLA CRISI

Questa azione politica, volta a sostenere ogni occasione di fronte unico, volta ad appellarsi alle principali organizzazioni della sinistra per una ripresa delle mobilitazioni, non può comunque fare a meno di confrontarsi con la realtà della capitolazione della FIOM, con la scelta della CGIL di sospendere ogni mobilitazione nell’attesa dei referendum sul Jobs Act (nell’attesa cioè di poter riprendere forza per via elettorale, per potersi nuovamente sedere ai tavoli della concertazione con governo e padronato).
Nel contempo, infatti, alcuni settori di classe sono disponibili alla resistenza. Una resistenza che non è limitata ad avanguardie politiche marginali, ma che trova ascolto, consenso e coinvolgimento in settori significativi di classe. È questo il segnale che ci arriva dal voto nel contratto dell’igiene ambientale (43% di contrari nel settore pubblico), dagli scioperi nazionali nelle ferrovie e locali dei ferrotranvieri, dalle lotte della logistica come da alcune mobilitazioni studentesche. È, soprattutto, il segnale che ci arriva dal No al rinnovo del CCNL metalmeccanico, che si è espresso in particolare nelle grosse industrie, non solo dove è influente l’opposizione CGIL o qualche sindacato di base (Dalmine di Bergamo, Fincantieri di Marghera e di Ancona, cantieri liguri, in tutti gli stabilimenti della Electrolux, Marcegaglia di Forlì, Same, Piaggio, GKN, Ilva, STM di Agrate e di Catania, Ansaldo, AST di Terni, ecc.). Sul terreno dell'azione di avanguardia siamo quindi impegnati a contrastare questa nuova stagione di subalternità, non solo tra i metalmeccanici, ma anche in generale sul patto di fabbrica con Confindustria come nell'accordo sul pubblico impiego. Da qui la contrapposizione alla burocrazia sindacale, per una direzione alternativa del movimento operaio. Da qui il sostegno ai coordinamenti del No, nei metalmeccanici come in altri settori, come ad ogni altra forma di larga avanguardia che dovesse determinarsi.
Non solo. La nostra azione d’avanguardia può rivolgersi anche su un terreno più generale e politico, avanzando una proposta di unità d’azione alle altre forze classiste e anticapitaliste, per sostenere una ripresa conflittualità sociale davanti allo stallo della sinistra riformista. Un’azione che, ovviamente, non può esser sostitutiva e non può pensarsi sostitutiva del fronte unico, della priorità di una ripresa della mobilitazione di massa nel nostro paese. Un’azione politica di avanguardia può però permettere la ricomposizione di percorsi e appuntamenti di lotta, che possono svolgere un ruolo anche significativo nel mantenere accesa, anche nella percezione di massa, la prospettiva di un’alternativa di classe.

Questa unità d’azione può allora esser condotta localmente, per sostenere la conflittualità diffusa di movimenti e iniziative di lotta, nei posti di lavoro come sul territorio. Questa unità d’azione può esser condotta anche nazionalmente, per produrre almeno in una dimensione di avanguardia alcune possibili ricomposizioni, anche parziali. Un’azione da verificare, in primo luogo, nella costruzione di alcuni appuntamenti di lotta nella prossima primavera, che non lascino vuote le piazze del nostro paese: l’8 marzo il movimento di lotta dello scorso 26 novembre sta programmando uno sciopero dello donne; allo stesso modo, si pone l’opportunità di convocare un corteo unitario dell’estrema sinistra, della sinistra sindacale, dei movimenti antagonisti. Impegnandosi per evitare che, come lo scorso autunno, come gli scorsi anni, queste occasioni diventino il terreno di demarcazione delle diverse organizzazioni o dei diversi percorsi. Questa unità d’azione può quindi esser verificata innanzitutto a partire da alcuni soggetti con cui condividiamo una matrice classista, pur nella diversità dei progetti politici e delle impostazioni teoriche (Sinistra Anticapitalista, Sinistra Classe Rivoluzione, SGB, CUB, SiCobas...). Un coordinamento nell’azione con queste forze che, in questo quadro, ci può permettere anche di verificare possibili convergenze in funzione di un bilanciamento di quelle forze e quei settori neosovranisti e neocampisti, che stanno provando a sviluppare campagne d’egemonia sull’estrema sinistra.


PER UNA SINISTRA CLASSISTA E RIVOLUZIONARIA, PER LO SVILUPPO DEL PCL

Il fronte unico del lavoro, l’unità d’azione nell’avanguardia sociale e di classe, il coordinamento della nostra azione con l’avanguardia politica classista, sono tutte linee d’intervento per la prossima primavera dirette a riprendere il conflitto sociale nel nostro paese. In tutte queste iniziative, la nostra proposta deve esser quella di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, per dare una soluzione di classe e anticapitalistica alla crisi della Repubblica. Un programma transitorio che, partendo dalla coscienza diffusa, dalle contraddizioni e dai conflitti presenti, indica la necessità e la prospettiva della rivoluzione. Questa prospettiva è e resta la nostra linea strategica di demarcazione dal resto della sinistra politica.

La sinistra politica riformista, già vittima negli anni del proprio suicidio politico, è del tutto incapace anche solo di prospettare una soluzione indipendente della crisi politica e sociale. La dissoluzione di SEL è emblematica. La sua ala destra (Pisapia) si candida addirittura a supporto postumo del renzismo integrandosi direttamente nell'operazione del suo rilancio. Un'altra sua componente (Smeriglio) punta a ricomporre il vecchio centrosinistra puntando sulla minoranza del PD liberale (Bersani). Un'altra componente ancora (Fratoianni) punta ad una stagione ritemprante di opposizione per ricostruire le condizioni contrattuali di un centrosinistra futuro. Sinistra Italiana si annuncia come quadro costituente della continuità riformista: un'autonomia nazionale obbligata dal PD, imposta dal renzismo, in funzione della prospettiva di ricomposizione di una alleanza di governo col PD, una volta rimosso l'ostacolo Renzi. Mentre il PRC è segnato da una totale afasia politica, imprigionato dal fallimento di Tsipras e dai suoi effetti deflagranti sull'intero quadro del Partito della Sinistra Europea.
Parallelamente, sul versante centrista, Rete dei Comunisti e gruppo dirigente USB rilanciano il proprio impasto politico-culturale di neosovranismo nazionalista e di mitologia costituzionalista (“applicare la Costituzione”): subalterni al tempo stesso sia al grillismo, sia alla tradizione del riformismo italiano.

La costruzione di una sinistra rivoluzionaria classista attorno alla prospettiva del governo dei lavoratori si conferma come l'unica soluzione progressiva della stessa crisi della sinistra italiana. La costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori è la traduzione politica di questa necessità.
In questo quadro, si pone il prossimo appuntamento delle elezioni politiche, nel 2017 o nel 2018. Non sappiamo ancora con quale legge elettorale si svolgerà. Se rimarrà, in un Italicum modificato o in un Mattarellum rivisto, la moltiplicazione di piccoli collegi, sappiamo anche che sarà particolarmente difficile una nostra presentazione nazionalmente significativa. La presenza di una sinistra rivoluzionaria anche sul piano elettorale, nel quadro della crisi politica, sociale ed istituzionale che l’Italia sta attraversando, può esser un elemento importante per riattivare una coscienza politica di classe diffusa; la presenza del PCL in questo appuntamento, uno snodo rilevante per la sua costruzione ed il suo sviluppo. Per questo, nel quadro dell’impostazione sulla linea elettorale definita negli scorsi congressi e ribadita in quello attuale, il PCL tenterà in ogni modo di esser presente a quell’appuntamento, come ad esser in ogni caso presente nei grandi centri, in occasioni delle elezioni comunali che dovessero presentarsi nei prossimi anni.
Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 13 gennaio 2017


Verso il quarto Congresso nazionale del PCL

2 Gennaio 2017
 
 


Tra il 5 e l'8 gennaio si terrà a Rimini il quarto Congresso nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori.
Il Congresso affronta tre ordini tematici: l'analisi della crisi mondiale, la crisi del movimento operaio internazionale, le prospettive della rifondazione della Quarta Internazionale; l'analisi della crisi sociale e politica italiana, la linea di azione e proposta del PCL per il rilancio dell'opposizione di classe e la costruzione del partito rivoluzionario in Italia; i compiti di costruzione politico organizzativa del PCL.

La crisi capitalistica internazionale ed europea, prolungata ed irrisolta, scarica i propri effetti sulle condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato. Al tempo stesso sospinge una polarizzazione politica che scuote le forme tradizionali della politica borghese. La vita politica americana ed europea è profondamente segnata da questa dinamica. Il fenomeno Trump negli USA, la massa critica di populismo reazionario che monta in Europa, misurano non solo la profondità della crisi capitalista e la crisi di egemonia dei partiti dominanti tradizionali, ma anche il ritardo storico del movimento operaio nell'imporre la propria soluzione alternativa. Ciò che spinge una parte del proletariato, settori sociali declassati, classi medie impoverite dalla crisi, nelle braccia delle demagogie reazionarie.
Parallelamente, tutte le vecchie suggestioni riformiste, in tutte le loro declinazioni (la “riforma democratica e sociale dell'Unione Europea”, le illusioni sovraniste su un possibile capitalismo nazionale riformato, le mitologie sui nazionalismi riformisti latinoamericani in salsa chavista, lulista o kirchnerista) sono travolte una dopo l'altra dalla dinamica della crisi mondiale, e dalla esperienza dei fatti. Il volto del governo Tsipras quale governo di austerità e sacrifici, al soldo della troika, è l'epitaffio crudele delle illusioni riformiste.

In Italia, la particolare profondità della crisi capitalista e della crisi congiunta del movimento operaio (arretramento dei suoi livelli di mobilitazione, di coscienza, di rappresentanza politica) hanno insieme alimentato lo sfondamento del populismo reazionario tra gli stessi salariati, sia esso di governo (renzismo) che di opposizione (lepenismo salviniano e grillismo). Ma la borghesia fatica a trovare una forma politica stabile del proprio dominio. Il progetto bonapartista del renzismo ha subito una autentica disfatta il 4 dicembre, e con esso un progetto di stabilizzazione reazionaria del sistema politico istituzionale. Nel varco aperto dalla crisi del renzismo, va ora rilanciata una opposizione sociale unitaria e di massa capace di imporre al centro dello scontro un'agenda indipendente del movimento operaio. Che riconduca le rivendicazioni immediate della classe all'unica possibile soluzione progressiva della crisi sociale e politica, una soluzione rivoluzionaria, anticapitalista, socialista: la prospettiva della Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro organizzazione e la loro forza.

La costruzione del partito rivoluzionario risponde a questa necessità: elevare la coscienza della classe, e innanzitutto della sua avanguardia, all'altezza della necessità storica della rivoluzione socialista. Da qui l'esigenza di un partito radicato nella classe, nelle sue organizzazioni, nelle sue lotte. Un partito capace di lottare per l'egemonia alternativa sulla classe, e al tempo stesso per l'egemonia anticapitalista della classe lavoratrice sull'insieme delle masse oppresse e sfruttate. Un partito capace di portare in ogni lotta particolare il senso di una progetto rivoluzionario generale. Un partito capace di recuperare la tradizione migliore del marxismo rivoluzionario e di porla al servizio della nuova generazione. Un partito che va costruito su scala mondiale e in ogni paese.

Questa è la cornice comune di riflessione e di indirizzo del quarto Congresso nazionale del PCL. Dentro questa cornice comune, nello spirito della democrazia rivoluzionaria, si confrontano anche elementi diversi di impostazione: sulla relazione tra propaganda e agitazione rivoluzionaria, sulle articolazioni della proposta di fronte unico di classe, sul rapporto tra l'intervento centrale nella classe e la battaglia politica a sinistra, sulla relazione tra battaglia di classe e uso rivoluzionario delle tribune elettorali, su come tradurre le necessità della politica rivoluzionaria sul terreno delle forme organizzative di partito, entro la comune tradizione leninista. In questo quadro si sono espresse tre diverse piattaforme congressuali. La piattaforma A, espressa dalla larga maggioranza del CC uscente, su una linea di continuità degli indirizzi generali del partito, seppur aggiornati e articolati; la piattaforma B, espressa da una minoranza del CC, su una linea di svolta politico-organizzativa; la piattaforma C, espressa da un compagno del CC, su una linea di diversa analisi del quadro internazionale con le relative implicazioni di indirizzo.

Il PCL non ha mai avuto paura della discussione e del confronto interno, a differenza delle sette o dei partiti riformisti. Al contrario, nella migliore tradizione del bolscevismo, vuole fare del proprio congresso una scuola di formazione e di costruzione del partito.

I documenti politici congressuali delle diverse piattaforme vengono dunque pubblicati e posti a conoscenza dell'avanguardia di classe, dei movimenti sociali, dei militanti più avanzati della sinistra politica. Conquistare le avanguardie politiche e sociali della classe al programma del partito, coinvolgerli nella riflessione e confronto tra rivoluzionari, guadagnarli alla nostra organizzazione e alla sua democrazia, è parte integrante della costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori.
Partito Comunista dei Lavoratori

Verso il quarto Congresso nazionale del PCL

2 Gennaio 2017
PCL corteo

Tra il 5 e l'8 gennaio si terrà a Rimini il quarto Congresso nazionale del Partito Comunista dei Lavoratori.
Il Congresso affronta tre ordini tematici: l'analisi della crisi mondiale, la crisi del movimento operaio internazionale, le prospettive della rifondazione della Quarta Internazionale; l'analisi della crisi sociale e politica italiana, la linea di azione e proposta del PCL per il rilancio dell'opposizione di classe e la costruzione del partito rivoluzionario in Italia; i compiti di costruzione politico organizzativa del PCL.

La crisi capitalistica internazionale ed europea, prolungata ed irrisolta, scarica i propri effetti sulle condizioni materiali di vita e di lavoro del proletariato. Al tempo stesso sospinge una polarizzazione politica che scuote le forme tradizionali della politica borghese. La vita politica americana ed europea è profondamente segnata da questa dinamica. Il fenomeno Trump negli USA, la massa critica di populismo reazionario che monta in Europa, misurano non solo la profondità della crisi capitalista e la crisi di egemonia dei partiti dominanti tradizionali, ma anche il ritardo storico del movimento operaio nell'imporre la propria soluzione alternativa. Ciò che spinge una parte del proletariato, settori sociali declassati, classi medie impoverite dalla crisi, nelle braccia delle demagogie reazionarie.
Parallelamente, tutte le vecchie suggestioni riformiste, in tutte le loro declinazioni (la “riforma democratica e sociale dell'Unione Europea”, le illusioni sovraniste su un possibile capitalismo nazionale riformato, le mitologie sui nazionalismi riformisti latinoamericani in salsa chavista, lulista o kirchnerista) sono travolte una dopo l'altra dalla dinamica della crisi mondiale, e dalla esperienza dei fatti. Il volto del governo Tsipras quale governo di austerità e sacrifici, al soldo della troika, è l'epitaffio crudele delle illusioni riformiste.

In Italia, la particolare profondità della crisi capitalista e della crisi congiunta del movimento operaio (arretramento dei suoi livelli di mobilitazione, di coscienza, di rappresentanza politica) hanno insieme alimentato lo sfondamento del populismo reazionario tra gli stessi salariati, sia esso di governo (renzismo) che di opposizione (lepenismo salviniano e grillismo). Ma la borghesia fatica a trovare una forma politica stabile del proprio dominio. Il progetto bonapartista del renzismo ha subito una autentica disfatta il 4 dicembre, e con esso un progetto di stabilizzazione reazionaria del sistema politico istituzionale. Nel varco aperto dalla crisi del renzismo, va ora rilanciata una opposizione sociale unitaria e di massa capace di imporre al centro dello scontro un'agenda indipendente del movimento operaio. Che riconduca le rivendicazioni immediate della classe all'unica possibile soluzione progressiva della crisi sociale e politica, una soluzione rivoluzionaria, anticapitalista, socialista: la prospettiva della Repubblica dei lavoratori, basata sulla loro organizzazione e la loro forza.

La costruzione del partito rivoluzionario risponde a questa necessità: elevare la coscienza della classe, e innanzitutto della sua avanguardia, all'altezza della necessità storica della rivoluzione socialista. Da qui l'esigenza di un partito radicato nella classe, nelle sue organizzazioni, nelle sue lotte. Un partito capace di lottare per l'egemonia alternativa sulla classe, e al tempo stesso per l'egemonia anticapitalista della classe lavoratrice sull'insieme delle masse oppresse e sfruttate. Un partito capace di portare in ogni lotta particolare il senso di una progetto rivoluzionario generale. Un partito capace di recuperare la tradizione migliore del marxismo rivoluzionario e di porla al servizio della nuova generazione. Un partito che va costruito su scala mondiale e in ogni paese.

Questa è la cornice comune di riflessione e di indirizzo del quarto Congresso nazionale del PCL. Dentro questa cornice comune, nello spirito della democrazia rivoluzionaria, si confrontano anche elementi diversi di impostazione: sulla relazione tra propaganda e agitazione rivoluzionaria, sulle articolazioni della proposta di fronte unico di classe, sul rapporto tra l'intervento centrale nella classe e la battaglia politica a sinistra, sulla relazione tra battaglia di classe e uso rivoluzionario delle tribune elettorali, su come tradurre le necessità della politica rivoluzionaria sul terreno delle forme organizzative di partito, entro la comune tradizione leninista. In questo quadro si sono espresse tre diverse piattaforme congressuali. La piattaforma A, espressa dalla larga maggioranza del CC uscente, su una linea di continuità degli indirizzi generali del partito, seppur aggiornati e articolati; la piattaforma B, espressa da una minoranza del CC, su una linea di svolta politico-organizzativa; la piattaforma C, espressa da un compagno del CC, su una linea di diversa analisi del quadro internazionale con le relative implicazioni di indirizzo.

Il PCL non ha mai avuto paura della discussione e del confronto interno, a differenza delle sette o dei partiti riformisti. Al contrario, nella migliore tradizione del bolscevismo, vuole fare del proprio congresso una scuola di formazione e di costruzione del partito.

I documenti politici congressuali delle diverse piattaforme vengono dunque pubblicati e posti a conoscenza dell'avanguardia di classe, dei movimenti sociali, dei militanti più avanzati della sinistra politica. Conquistare le avanguardie politiche e sociali della classe al programma del partito, coinvolgerli nella riflessione e confronto tra rivoluzionari, guadagnarli alla nostra organizzazione e alla sua democrazia, è parte integrante della costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori.
Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 7 gennaio 2017

La morte di Fidel Castro

27 Novembre 2016

Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza; i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi di politica interna e internazionale.

Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla rivoluzione del 1959.

Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche, quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la rivoluzione socialista.

Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.

Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente represse.

Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina, staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe" in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80; il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella Germania Est nel 1989.
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”.

Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997 il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico, mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema capitalistico.

Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica, interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il processo di restaurazione capitalista e la penetrazione dell’imperialismo.

Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro. Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura della base imperialista di Guantánamo.
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista da parte della burocrazia stalinista in URSS.

La morte di Fidel Castro

27 Novembre 2016
Castro


Fidel Castro è deceduto a Cuba all’età di novant'anni. Suo fratello Raul ha annunciato la scomparsa con un messaggio televisivo.
Nel 2006 Fidel Castro ha subito un intervento chirurgico di urgenza; i conseguenti esiti della patologia lo porteranno a lasciare prima temporaneamente, poi nel 2008 definitivamente la direzione del potere politico al fratello Raul Castro, nominato Presidente del Consiglio di Stato e del Consiglio dei Ministri. Fidel Castro ha comunque mantenuto un ruolo di indirizzo attraverso i suoi articoli sul Granma, il giornale del Partito Comunista Cubano, in cui interveniva sui principali eventi di politica interna e internazionale.

Per circa mezzo secolo Fidel Castro ha occupato la presidenza di Cuba, nel corso della quale ha suscitato una feroce ostilità da parte dell’imperialismo (oltre 600 attentati alla sua vita organizzati dalla CIA), ma anche ammirazione da gran parte delle sinistre mondiali e dei popoli oppressi per essere riuscito assieme a Che Guevara e Camilo Cienfuegos a rovesciare, grazie al sostegno delle masse contadine e allo sciopero generale all’Avana, la dittatura di Fulgencio Batista; per aver costruito il primo Stato operaio, seppur deformato, a poche miglia dagli Stati Uniti d’America e, inoltre, per aver guidato la resistenza contro il 'blocco' e i tentativi di rovesciare il regime uscito dalla rivoluzione del 1959.

Il 'Movimiento 26 de Julio' non aveva un programma socialista, ma di democrazia borgese progressista. Fidel Castro era infatti un democratico borghese, e fin dall’inizio ha lottato per mantenere la borghesia all’interno del governo, ma è stato costretto a rompere con la borghesia liberale e l’imperialismo. Il carattere socialista della rivoluzione, infatti, è stato proclamato nel 1961 in risposta alle provocazioni statunitensi, dopo la sconfitta da parte delle milizie popolari cubane del tentativo di invasione degli esuli cubani, armati dall’imperialismo, alla Baia dei Porci.
La rivoluzione aveva spezzato lo Stato borghese, l’esercito di Batista era stato liquidato, l’esercito ribelle formato da contadini poveri, braccianti agricoli e operai in armi ha spinto la rivoluzione ad andare avanti, a procedere nell’espropriazione della borghesia nazionale, della grande proprietà terriera e del capitale straniero che controllava l’Isola. Le stesse condizioni materiali, oltre che quelle politiche, mettevano in evidenza come le rivendicazioni democratiche, quali la riforma agraria e l’indipendenza nazionale, potevano essere assicurate solo approfondendo il processo rivoluzionario verso la rivoluzione socialista.

Ma la rivoluzione socialista sarà presto interrotta: Fidel Castro respinse la proposta di Che Guevara di realizzare un programma di industrializzazione e di estensione della rivoluzione fuori dall’Isola, e scelse di allearsi con la burocrazia stalinista dell’URSS facendo proprio quel modello e applicandolo a Cuba. Il giovane Stato operaio cubano, privato degli organismi di democrazia proletaria e chiuso all’interno del perimetro costiero, nasceva deformato.

Fidel Castro è stato il capo di un regime bonapartista. Il suo potere si ergeva su un apparato burocratico che aveva concentrato il potere in un partito unico e impedito l’emergere di organi di autogoverno - i soviet - degli operai e dei contadini. Le libertà civili e democratiche socialiste saranno progressivamente soffocate da parte di una burocrazia dirigente privilegiata e controrivoluzionaria.
Le tendenze rivoluzionarie - tra le quali i trotskisti cubani - che avevano partecipato al processo rivoluzionario, sono state duramente represse.

Nel corso dei successivi decenni, attraverso un percorso contraddittorio, Castro sosterrà, via via: la diffusione della strategia, burocratica e suicida, della guerriglia in America Latina, staccando e isolando dalle masse operaie migliaia di giovani e così favorendo il loro sterminio da parte dell’imperialismo e dei governi borghesi latinoamericani; la repressione nel sangue della Primavera di Praga del 1968; il governo di collaborazione di classe di Unità popolare, in Cile, all’inizio degli anni '70; la rivoluzione "a tappe" in Nicaragua ("il FSLN non deve creare una nuova Cuba") negli anni ’80; il regime di Jaruselzky in Polonia nel 1981 e di Erich Honecker nella Germania Est nel 1989.
Un piano inclinato di sconfitte per il movimento operaio, che si concluderà con la restaurazione del capitalismo nei paesi del cosiddetto “socialismo reale”.

Cuba, isolata dal blocco statunitense, privata del sostegno dell’URSS, attraverserà un periodo difficile, noto come periodo speciale, di fame e scarsità per le masse operaie e contadine. Nel 1997 il regime cubano apre agli investimenti stranieri e alla creazione di imprese capitalistiche, senza modifiche sostanziali al regime politico, mentre intensificava i rapporti con la Chiesa cattolica sanciti l’anno successivo dalla visita del Papa Karol Wojtyla. Negli ultimi anni di governo, infine, Fidel Castro ha sostenuto il regime di Chavez e i governi progressisti dell’America Latina: il cosiddetto socialismo del XXI secolo, che non ha mai messo in discussione il sistema capitalistico.

Dopo il suo ritiro dalla politica attiva, Castro, rimasto lucido fino alla fine, non ha fatto mancare il suo sostegno alla politica, interna e internazionale, del fratello Raul e della burocrazia restaurazionista dirigente. Una politica che, grazie al sostegno questa volta della Chiesa cattolica di Papa Francesco, nel mentre avviava i negoziati con l’imperialismo statunitense, accelerava all’interno il processo di restaurazione capitalista e la penetrazione dell’imperialismo.

Da parte nostra, difendiamo e difenderemo le conquiste della rivoluzione socialista cubana che hanno senza alcun dubbio, dopo l’espropriazione della borghesia, migliorato significativamente le condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori e delle masse popolari dell’Isola, garantendo l’educazione e la salute, la casa e il lavoro. Proprio per questo, abbiamo sostenuto e sosteniamo la difesa di Cuba da ogni forma di aggressione imperialista, la fine del blocco e la chiusura della base imperialista di Guantánamo.
Ma non difendiamo il regime burocratico restaurazionista, che rappresenta la casta privilegiata della società cubana.
La classe operaia cubana deve respingere la restaurazione capitalista portata avanti dalla casta burocratica dirigente di Raul Castro, costruire il proprio partito rivoluzionario, socialista e internazionalista, distruggere l’apparato burocratico stalinista e riprendere il percorso interrotto della costruzione socialista imponendo il potere dei consigli degli operai, dei contadini e dei soldati.
Questa è l’unica alternativa realmente progressiva, quella proposta da Trotsky e dalla Quarta Internazionale nel Programma di transizione del 1938 contro l’infausta prospettiva della restaurazione capitalista da parte della burocrazia stalinista in URSS.
Antonino Marceca